“Don Ciotti, esempio forte di onestà, di intraprendenza, ispiratore di valori come la legalità e la responsabilità, è un sacerdote di strada che ha combattuto le mafie e continua a farlo senza sosta. A cento giorni dal 21 Marzo, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, decide di percorrere il primo di quei cento passi che ci separano da una società libera dai soprusi delle mafie insieme ai giovani studenti di Catania e provincia”.
Noi. Si apre così l’evento che vede protagonista Don Ciotti, un sacerdote di strada che sfida a testa alta le mafie. Durante la data del 7 Febbraio è stato ospite presso i locali dell’istituto “Galileo Galilei” di Catania. La giornata non è casuale: sono esattamente 100 i giorni che separano questa data da quella del 21 Marzo, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
Non con un io, con una presentazione, ma con un noi. “Solo unendo le nostre forze è possibile cambiare”. Un sentimento collettivo, che ispira tanti dei giovani presenti in quell’aula.
Racconta in prima persona quando, come e perché nasce questa giornata: “anche se eravamo pochi, eravamo piccoli, il Parlamento l’ha votata”. Il riferimento è al voto unanime tenutosi Il 1° marzo 2017 presso la Camera dei Deputati con il quale si riconosce la giornata del 21 Marzo. L’idea nasce da un evento che coinvolge in prima persona il sacerdote. Ricorreva il primo anno dopo la Strage di Capaci. Accanto a lui una donna vestita di nero, piangeva instancabilmente. Le tende la mano, le fa una carezza. La donna gli prende la mano, la guarda, lui capisce. “Perchè non pronunciano il nome di mio figlio?”. Era la mamma di Antonio montanaro, quel giorno caposcorta.
Le vittime hanno un nome e un cognome. E’ un diritto umano essere chiamato per nome e cognome. Da qui la necessità di una giornata in cui ricordare tutte le vittime delle mafie, con i loro nomi e i loro cognomi. Quel giorno, è il primo giorno di primavera e tutta l’Italia si stringe forte alle famiglie di coloro che sono morti per la libertà del popolo e della democrazia.
Tante piccole tappe che, come ribadisce il sacerdote, devono spingere ad un impegno continuo nella lotta alla mafia, a partire dai piccoli gesti quotidiani.
“Diffidate di chi parla di voi ma non parla con voi. Sappiate distinguere tra i seduttori e gli educatori. I seduttori vi vogliono suggestionare con mille parole studiate, scintillanti. Promettono cose, denaro, vi chiedono di fare cose per gestire i loro atti criminali. Le mafie seducono, i seduttori seducono, gli educatori vi rendono persone libere. Non mettete la vostra libertà in vendita.” Don Ciotti si riferisce soprattutto agli educatori che in quella giornata hanno accompagnato gli studenti e hanno reso possibile la loro partecipazione. “Vogliate bene ai vostri professori e alle vostre professoresse. Chi è qui è perché ci crede.” Prima di tutto la scuola forma i cittadini di domani e chi aderisce a iniziative come questa è perché davvero ha fiducia nei giovani e speranza in una società migliore. Un aiuto che va aldilà del singolo insegnamento della materia, una finestra sul mondo che si apre a tematiche talvolta complesse.
La vita di Don Ciotti non è stata semplice: la speranza è che qualcuno possa sentirsi ispirato da questa sua storia. Ancora prima di raccontare il sacerdote ci tiene a ricordare alcuni dati basati sull’ultimo rapporto ISTAT: 6.000.000 di persone in povertà assoluta, di cui 1.400.000 bambini in povertà assoluta, oltre a milioni di persone in povertà relativa.
“Uno può essere povero ma anche dignitoso, la mia famiglia era molto povera ma anche molto dignitosa.”
Ciotti è di origine veneta ma la sua famiglia si trasferì ben presto a Torino per le esigenze lavorative del padre. Avrebbe lavorato nel cantiere per la costruzione del Politecnico di Torino e in quello stesso cantiere avrebbe trovato posto tutta la sua famiglia, in una baracca. Questa parte della sua vita, unita ai giudizi altrui e alle etichette cambiò radicalmente la sua vita. Il quartiere che frequentava era un quartiere ricco e a scuola bisognava andare con un grembiule fatto in un certo modo e il fiocco. La famiglia non riuscì a comprarli. “Ero l’unico in tutta la scuola senza grembiule e fiocco. Vieni considerato diverso e ti senti diverso.”
“Dopo 20 giorni la mia maestra – e ora lo comprendo – arriva a scuola. Tesa, nervosa, chissà che problema si portava dentro, quale sofferenza. In classe c’era confusione e la maestra si mise ad urlare non contro i compagni, ma contro di me che ero l’unico senza grembiule e fiocco. Ma cosa c’entro io che non c’entravo nulla.” “Ma cosa vuoi tu da me, montanaro?” – disse la maestra, mentre i compagni ripetevano in coro “MON-TA-NA-RO”. Da lì, la reazione: prese il calamaio e lo lanciò verso di lei. Sospeso da scuola dopo i primi venti giorni. “Mi ricordo il mio pianto perché anche se sei piccolo capisci che quello che hai fatto è sbagliato. Mia mamma mi ha dato una sonora lezione. Ma dopo capì che quella fu la risposta ad un giudizio nei confronti della nostra storia.” A cambiare la sua vita da bambino fu soprattutto il giudizio dei suoi compagni e delle loro famiglie.
Da lì a qualche anno la sua famiglia riesce a stabilizzarsi, lui studia per prendere il diploma. Nel tragitto verso scuola fu incuriosito da un signore, che aveva degli stracci ma leggeva dei libri e con delle matite rosse e blu sottolineava. Passava la mattina, la sera, il giorno dopo e lui era ancora lì. Vani i tentativi di parlargli, non rispondeva, l’ipotesi era quella che fosse sordo.
“Ma quando due macchine frenarono forte, lui alzò lo sguardo e vidi nei suoi occhi la disperazione di un uomo, per la prima volta. Ci sentiva benissimo, si era chiuso nel suo mondo. È capitato a me, capiterà anche a voi di trovare persone che si son chiuse nei loro problemi, nelle loro fatiche, capisci che c’è qualcosa ma non sai come affrontarlo.”
Dopo dodici giorni le prime parole. Quel signore era uno stimato medico, di grande professionalità, generoso. Un evento immane cambia la sua vita: perde la moglie e i figli in un incidente stradale.
Nei giorni seguenti si fanno compagnia a vicenda. Il medico gli indicò un gruppo di ragazzi che aveva a che fare con sostanze stupefacenti: “Io sono stanco, sono vecchio. Devi fare tu qualcosa per loro.”
“Settimana dopo la panchina era vuota, il mio amico se n’era andato per sempre, era morto nella notte. Ho sentito che quell’incontro non era uno dei tanti incontri. A quell’età sei piccolo e ti senti piccolo.“ E’ qui che si tracciava l’inizio per un impegno concreto.
A Gorizia si teneva un corso di formazione per la polizia di stato sul tema delle droghe. Tra i relatori c’era il magistrato Giovanni Falcone. E’ lì che Don Ciotti e Giovanni Falcone si conobbero. Al termine dell’incontro si diedero una stretta di mano e un appuntamento per un caffè. Un caffè che, però, non prenderanno mai. Il giorno di quella strage, gli fu massacrata la vita da Cosa Nostra. Quel sabato 23 maggio del 92 Don Ciotti era in Sicilia a tenere un corso per insegnanti sul tema delle dipendenze e delle droghe.
la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno nasce proprio da quel caffè mai preso e dalla volontà di ricordare tutte le vittime della mafia.
“Oggi le mafie sono forti, sparano di meno, fanno meno morti. Hanno trovato nuovi modi. Non hanno scrupolo se non riescono a raggiungere il loro obiettivo. Anche se si spara di meno, loro ci sono ancora, ci impoveriscono tutti. Non si uccide solo con le armi ma anche non permettendo alla società di crescere nel modo giusto. Non possiamo pensare che sia solo un problema di ieri, lo è anche oggi, in forme e modi diversi.”
Don Ciotti conclude il suo intervento con una metafora e due auguri rivolti agli studenti e alle studentesse presenti.
Chiunque di noi ha uno stomaco. Serve per il nostro cibo. Permette al nostro organismo di crescere e svilupparsi per la nostra vita. La formica invece ne ha due: uno più grande ed uno più piccolo. A che serve il secondo un po’ più piccolo?
Quando trova del cibo ne mette un pò anche nel secondo stomaco e quando torna nel formicaio lo distribuisce alle formiche che non possono cercarlo, per le più fragili.
“Noi che abbiamo uno stomaco grande, nel cammino della vita, possiamo usare un po’ del nostro per gli altri, per riempire la nostra vita di senso e significato. Tu riempi la tua vita di significato se spendi un po’ della tua vita per chi fa più fatica. Un augurio che faccio ad ognuno di voi.”
L’augurio che viene fatto ai più grandi è invece quello della solitudine. “E’ nella solitudine che scopriamo il nostro mondo interiore, le nostre emozioni. Fermiamoci, per guardarci dentro, per scoprire i nostri stati d’animo. Non di corsa, non sempre connessi. Non bisogna confondere la solitudine – relazione con la vita – con l’isolamento – fuga dalla vita, monologo -. Attenti al sequestro della solitudine.“
L’evento si chiude con la speranza di un mondo che può davvero essere diverso se si alimenta la volontà di cambiarlo insieme. A guidare questo cambiamento – secondo Don Ciotti – sarebbero le tre “C”: continuità, condivisione, corresponsabilità.
A cura di Alex Lembo