Il duetto di Lucio Corsi, nella recentissima 75esima edizione del Festival di Sanremo, con Topo Gigio ha nuovamente acceso la curiosità su uno dei personaggi più iconici della televisione italiana. Una storia lunghissima, tradizione che ha accompagnato numerose generazioni di bambini, quasi impossibile trovare qualcuno che non ha mai sentito “Maaa cosa mi dici maaaai”.
Il personaggio di Topo Gigio si intreccia con la Sicilia, in particolare con il maestro Peppino Mazzullo, adesso 99enne. Lui ha dato la voce a Topo Gigio dal 1961 al 2006, diventandone un simbolo; adesso vive nel suo paese natale, Santo Stefano di Briga, tra le colline di Messina, dove si è ritirato dopo la pensione. Racconta a Radio Taormina con emozione e dolcezza come è nata la voce di Topo Gigio.
«Avevo due o tre anni. All’alba mi sveglio, apro gli occhi e vedo ai piedi del letto un personaggino, una cosina così, che parlava. Io mi sono spaventato e ho urlato “Mamma!”, ma era come se non avessi voce.Alla fine, dopo un po’, forse ha avuto pietà quella creaturina, ed è sparita. Solo allora mi è tornata la voce. Ho chiamato mia madre e le ho raccontato quello che avevo visto. Lei mi ha detto: “Non ti preoccupare, è un fuddittu, ti porterà fortuna”.
Passano gli anni e io mi trovo in uno studio televisivo in Rai, dove facevo l’attore drammatico e comico. Vedo un pupazzetto e mi accorgo che è identico al fuddito che avevo visto da bambino. Ma mica potevo raccontare questa storia a Maria Perego e suo marito Federico Caldura!
Quando mi chiesero un parere, dissi semplicemente: “Mi piace”. Il pupazzo, però, era stato fatto in fretta e sembrava un po’ malconcio, nato per essere solo parte di un numerino musicale con altri topini. Eppure, per me aveva qualcosa di speciale». Ed è stato lì che è nato Topo Gigio, mancava soltanto la voce.
«Mi chiesero di provare a dargli una voce, e così feci. “Ma cosa mi dici mai?” dissi per gioco, e in quello stesso momento Gino Bramieri, che era lì con me, mi disse: “Non dimenticare questa voce!”.
Non potevo raccontare che per me era la voce del fuddito, di quella creaturina che avevo visto da bambino, ma era la stessa identica figura».
Antonio Capizzi