Settantacinque coltellate non sono crudeltà ma inesperienza, una storia in cui un ragazzo si finge te: “Sto bene, grazie a tutti”, una relazione totalmente frutto dell’immaginazione… è il ventunesimo secolo e, nonostante le innumerevoli manifestazioni fatte e le innumerevoli richieste di aiuto, sono ancora queste le storie che ci tocca sentire ogni giorno. Giulia Cecchettin, Ilaria Sula, Sara Campanella: tre donne con un unico e tragico destino condiviso, la morte causata dal semplice diritto di dire “No” che ultimamente viene sempre meno concesso.

Di Giulia Cecchettin tutti ne conosciamo la storia: la ragazza ventiduenne uccisa l’11 novembre 2023 dall’ex fidanzato Filippo Turetta con 75 coltellate. Egli lo scorso 3 dicembre è stato condannato all’ergastolo con l’aggravante della premeditazione ma senza riconoscergli l’aggravante della crudeltà. Nelle motivazioni i giudici scrivono che “la prova che l’aver prolungato l’angoscia della vittima sia atto fine a sé stesso, frutto della deliberata volontà dell’imputato di provocarle una sofferenza aggiuntiva e gratuita”.

Ilaria Sula, 22 anni, scomparsa a Roma lo scorso 25 marzo e trovata morta il 2 aprile chiusa in un valigione, in fondo a un dirupo di un’area boschiva nel Comune di Poli, in provincia di Roma. Ad ucciderla l’ex Mark Antony Samson, ventitreenne. Fu lui a colpire la ragazza con diverse coltellate al collo che morì per shock emorragico. “Il ritorno a casa di una figlia deve essere una certezza, non una speranza. Rip Ilaria. Un padre”. È la storia postata su Instagram da Flamur Sula, padre della ragazza. Mentre sono queste le parole dell’omicida: “L’ho uccisa per gelosia, ma amavo Ilaria. Ho avuto un raptus, ho agito di impulso”. Ma l’orrore non ha limite e la madre di Mark si rileva complice del figlio. Ella, infatti, aiutò Samson a sbarazzarsi del cadavere di Ilaria che riversava sul pavimento della camera da letto del ragazzo: “Ho aiutato mio figlio a pulire le macchie di sangue in casa”.

Sara Campanella, ventiduenne, tirocinante universitaria, uccisa a Messina. A porre fine alla sua giovane vita, dopo una lite, è stato Stefano Argentino, 27 anni, compagno di università della ragazza, che era da tempo ossessionato da lei e non accettava che non corrispondesse il suo interesse. Sara Campanella non aveva nessun legame con il criminale che l’ha perseguitata e sgozzata, un’ossessione che l’ha portato a compiere un gesto efferato. Uno convinto che “mi amo troppo per stare con chiunque”, la frase con cui oggi sono tappezzate le pensiline del tram in città, la frase che ogni madre vorrebbe sentir dire alla figlia per rassicurarsi del suo amor proprio, fosse un’offesa personale, visto che per Sara lui era proprio un ‘chiunque’, una persona di nessuna importanza, uno a cui non riconosceva posto né ruolo.

«Messina ti chiede scusa»: così recita il biglietto incollato a uno dei pali della luce, sopra il peluche più grande e una fila di fiori, nella strada in cui Sara Campanella è stata uccisa, a ridosso del centro di Messina. Viale Gazzi è la strada degli studenti del Policlinico che di lì scendono verso il mare per tornare a casa o andarsene in uno dei locali del centro a chiudere nell’allegria dei vent’anni la giornata di lezioni. È una strada di traffico rumoroso, di madri che hanno recuperato i figli da uno dei plessi scolastici lì vicino e si mescolano con studenti carichi di vita e di appunti. Studenti proprio come Sara. Oggi però è una strada di surreale silenzio, sopportata dietro gli occhiali scuri da chi proprio non può fare a meno di fermarsi lì, davanti alla stazione di benzina accanto alla quale Sara è stata accoltellata cinque volte fra collo e schiena. Quelli che proprio devono, guardano nel vuoto senza guardare negli occhi nessuno, perché come fai a sostenere altro che il vuoto, in quei metri?

La famiglia della vittima vuole mettere su una fondazione che porti il nome di Sara Campanella, una fondazione che sia spazio attivo di solidarietà, sostegno, ma soprattutto prevenzione. “La Fondazione sarà un punto di riferimento per sostenere le persone in difficoltà, per supportare progetti educativi, per la prevenzione e sensibilizzazione delle giovani generazioni, a partire sin dalla scuola dell’infanzia, per contrastare stereotipi di genere e promuovere relazioni sane con iniziative concrete e progetti sul territorio”, scrive così sui canali social Claudio Campanella, fratello di Sara.
Nemmeno Antonino Fricano, fidanzato della ragazza, riesce a darsi pace. “Ciao amore mio, tutto questo non doveva succedere, non a noi due” ha postato. “Mi è stato tolto un pezzo del mio cuore. La mia bambina. Tenetevi sempre stretto chi vi ama e amatelo alla follia, perché la vita può cambiare in un batter d’occhio”. Nella sofferenza Antonino ha la forza di ricordare la sua amata e di rinnovare le promesse. “Amate come se fosse l’ultimo giorno, baciatevi come se fosse l’ultima volta, ma soprattutto vivetevi” ha aggiunto. “Stasera ti ho perso, amore mio… ma ti prometto che manterrò ogni promessa che ti ho fatto”.
Insomma, siamo ancora fermi a: “Non serve educazione affettiva, serve la figa”, “Prima o poi qualcuno perde il controllo, sono eroi per noi”, “Ha reagito male, la vittima è lui”, “State facendo il lavaggio del cervello, avete inventato un problema che non esiste”, “Il rifiuto può essere devastante”.

Quante altre vittime serviranno affinché ogni uomo si renda conto della gravità della situazione? Quante altre Giulia, Ilaria e Sara serviranno per far cambiare le cose? Quando potremo finalmente dire che quel nome letto sui giornali è davvero l’ultimo nome che leggeremo mai?
“Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.

Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.” -Cristina Torre Cáceres-

A cura di Lorena Papotto