La memoria è l’unico vaccino contro l’indifferenza” questa è una frase di Liliane Segre, un’attivista e politica italiana, superstite dell’Olocausto e testimone attiva della Shoah. Ad ognuno di noi basta leggere quelle poche parole per capire di cosa si sta parlando: la pagina più buia di tutta la storia dell’umanità.

Shoah, una parola proprio di origine ebraica e presente numerose volte all’interno del Corano che vuol dire “distruzione totale” e “devastazione completa”, una parola che ci porta tutti a pensare alle azioni che fascisti e nazisti compirono durante la Seconda Guerra Mondiale. Tutti noi sappiamo cosa successe in quegli anni di terrore, tutti noi sappiamo a cosa servissero Auschwitz, Mauthausen o ancora i campi italiani di Ferramonti e di Fossoli anche se meno conosciuti. Eppure, tutti sappiamo e nessuno agisce. Qui la domanda sorge spontanea: come mai? Stiamo celebrando male il ricordo di questo pezzo di storia?

Scriveva lo storico Yehuda Bauer che la Shoah è stato un genocidio senza precedenti, che si proponeva di eliminare gli ebrei non solo in un territorio, ma in ogni luogo della terra in quanto elementi corrosivi di tutta l’umanità. Se stessimo un minuto in silenzio per ogni vittima dell’Olocausto, staremmo zitti per circa undici anni. Un tempo infinito che ci porta a comprendere la gravità di ciò che accadde. Allo stesso tempo, a livello educativo la riflessione sull’Olocausto è stata fondamentale per far capire che i genocidi non sono stati una catastrofe extra-storica, ma sono avvenuti per la responsabilità degli esseri umani, in un campo di battaglia dove c’erano carnefici, complici, giusti, spettatori indifferenti e resistenti. In poche parole, questa memoria ci ha insegnato che di fronte al male estremo si può scegliere, perché nulla è scontato e determinato a priori.

Oggi, venticinque anni dopo la legge n. 211 del 20 luglio 2000 che ha istituito il “Giorno della Memoria”, dobbiamo constatare che questo percorso sta mostrando alcune criticità che, se non affrontate alla radice, rischiano di limitarne la funzione educativa e di mostrare una profonda inadeguatezza rispetto alla possibilità di prevenire nuovi genocidi e, quindi, di rendere effettivo quel “mai più” che tutta l’Italia esclama in coro ogni 27 gennaio. Un “mai più” che nel tempo sta diventato una formula rituale e retorica e, soprattutto, senza alcun progetto per il futuro… si sta ignorando il vero scopo della memoria.

La parola genocidio è stata coniata dal giurista ebreo Raphael Lemkin nel 1942 per indicare la volontà di distruzione di una collettività etnica, religiosa o sociale. Lemkin la considerava una minaccia che riguardava l’umanità intera, poiché la distruzione di qualsiasi minoranza annientava non solo chi veniva colpito, ma impoveriva la ricchezza della pluralità umana. Nel dopoguerra Lemkin lavorò strenuamente per la promulgazione di leggi internazionali che proibissero il genocidio, raggiungendo questo obiettivo nel 1951, con l’entrata in vigore della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. C’è un aspetto importante della Convenzione: vi si afferma che devono essere puniti non solo gli atti di genocidio, ma anche l’incitamento diretto e pubblico a commetterli.

Dal ’48 ad oggi, secondo le stime di Genocide Watch, si sono susseguiti più di 55 genocidi con oltre 70 milioni di vittime. Allo stesso tempo sono nati i Tribunali penali internazionali, si è affermato il principio di intervento umanitario e si ragiona intorno all’Early warning system, un sistema di allerta qualora si creino i presupposti per un genocidio. Possiamo affermare, proprio come fece Daniela Padoan, che “Il mondo dopo Auschwitz, non è diventato migliore. Eppure, io l’avevo veramente creduto”.

La memoria della Shoah, oggi, ha senso se politici e cittadini che il 27 gennaio pronunciano “mai più” si impegnano concretamente per contrastare l’odio del mondo odierno per questo manifestazioni ed eventi di riflessione non sono mai troppe, per questo le scuole devono impegnarsi nel portare avanti questa campagna di sensibilizzazione. L’Istituto Benedetto Radice, infatti, ha già predisposto la visione del musical “L’urlo del silenzio” di Lilia Romeo con la partecipazione di Manuela Villa, presso il Teatro “Metropolitan” di Catania da parte di alcune classi della scuola e la partecipazione all’evento online “intervista con Edith Bruck”, una sopravvissuta alla Shoah, promosso dall’Università Giustino Fortunato. Oltre alle attività, come la realizzazione di cartelloni o la visione di film sul tema, che si svolgeranno durante le classiche ore in aula per spingere gli studenti a realizzare davvero ciò che accadde e ad immedesimarsi in chi, in pochi istanti, si ritrova privo di tutto, anche di sé stesso. 

L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria.” Primo Levi

A cura di Lorena Papotto

foto: RaiNews